L'angolo dello scrittore

Ngugi e la lotta per spostare il centro del Mondo

di Jean Marie Rossi

Dopo il primo ciclo di recensioni sulle narrazioni che distruggono una certa idea di mondo, che la rendono priva di senso, ecco a Voi un testo indimenticabile che viene dall’Africa, carico di lotta culturale: di Ngugi wa Thiong’o – Spostare il centro del mondo.

Se non fosse per Mercatore, al secolo Gerardus Mercator, probabilmente non staremmo neanche qui a parlare di eurocentrismo. Dal 1541 la proiezione del globo realizzata dal cartografo fiammingo stabilisce la centralità europea rispetto a tutti gli altri continenti del pianeta. Certo molti obietteranno che l’eurocentrismo non aveva bisogno di Mercatore per imporsi nell’immaginario collettivo ma, per quanto banale sia, senza una mappa – una scacchiera – anche le migliori istanze – i migliori pezzi – finisco col perdersi. Invece la Orbis Imago per quattro secoli ha ricordato a tutti che il centro del mondo era l’Europa. E lo ha fatto senza distinzioni, imprimendosi nella memoria di ognuno, dall’europeo all’africano, dal più stupido al più colto. Anche questo è potere, in questo caso dell’immagine.

Così a causa della nostra natura giusnaturalistica abbiamo elevato questa prospettiva a misura del nostro stare nel mondo, come se essa non potesse non essere corretta e universale. Come sappiamo, l’arrivo degli anni Sessanta e Settanta cambiò profondamente questo stato delle cose. Il terremoto che dalle scienze sociali si propagò a tutte le altre non lasciò indenne la cartografia, ma soprattutto decretò la fine di un’illusione che la nostra civiltà proteggeva da Cartesio e poi dall’Illuminismo in generale: ogni scienza, ogni sua indagine, ed ogni suo metodo, non potevano considerarsi universali giacché al loro interno era sedimentata una certa idea di civiltà – in questo caso la nostra civiltà. Fu un passo vertiginoso, e ancora oggi alcuni di noi fanno fatica ad accettarlo.

Lentamente le cose cambiarono, nella cartografia per esempio nuove proiezioni del pianeta vennero alla luce e molte altre vennero rinvenute e finalmente accettate. La visione di Mercatore trovò finalmente il suo posto sullo stesso piano delle altre. La più rivoluzionaria fula Peter’s Map, che dimenticando i suoi doveri verso le proporzioni cilindriche del pianeta, restituì ai continenti le loro reali dimensioni. Fu un colpo al cuore per gli eurocentristi: un’Europa così tremendamente piccola, così insignificante rispetto al resto del mondo ed in particolare verso il sud del mondo. Così gli atlanti vennero modificati e progressivamente ogni paese e ogni continente mise finalmente se stesso al centro della carta geografica. Un passo che il sud, l’Africa in testa, non aveva mai potuto fare:  subordinare a se stesso il resto del mondo.

Un concetto che dovette suonare come un atto di volontà e di liberazione per Ngugi wa Thiong’o, che fece di questa ‘promessa’, la sua prospettiva di scrittore ed intellettuale impegnato per la liberazione culturale del suo paese.
Oggi, professore di Letterature Africane all’Università di Yale, lo scrittore kenyota pagò con la prigione prima e l’esilio poi per questa sua radicale visione delle cose. Dal 1977 scrisse soltanto in Kikuyu, la sua lingua madre, certo che fosse l’unica possibilità per colmare lo spazio tra l’intellighenzia del suo paese e la classe operaia che lottava contro l’oppressione di una classe politica, parassitaria e corrotta, diretta conseguenza della dominazione coloniale.

Spostare il centro del mondo è il suo primo testo tradotto in italiano. Nato da una collezione di lectiones magistrales in tutte le università del mondo, questo libro è un piccolo saggio di 220 pagine colme di passione civile. Un testo di lotta per le libertà culturali, attraverso il fantasma dell’eurocentrismo verso un multiculturalismo genuino, muovendo da una considerazione tutt’altro che errata – “come Boccaccio e Dante sostennero l’uso della lingua vernacolare contro l’uso dominante del latino, così ogni lotta contro un potere dominante parte dal riprendersi l’uso della parola, riprendersi l’uso della lingua dei propri sogni di bambino”.